di Danilo Ruggiero *
La storia di Ostia moderna, come città di fondazione, è legata sin dalla nascita a numerose progettualità urbanistiche pubbliche, diverse tra loro per gli obiettivi di sviluppo economico e sociale che ipotizzavano o per le fasi storiche e politiche di cui erano espressione.
Nessuna di esse è riuscita però a dare alla città quella fisionomia unica e riconoscibile risultante dalla fusione dei suoi elementi più caratterizzanti: il mare, il fiume, l’archeologia, la storia antica, le ricchezze naturalistiche e paesaggistiche.
Tali elementi, pur notevolissimi singolarmente, non sono mai stati inseriti in una rete che li mettesse in comunicazione tra loro e che, soprattutto, desse significato pieno ad un territorio così ricco di testimonianze storiche e biodiversità. Come conseguenza, la risorsa mare, la più redditizia, ha via via egemonizzato tutti gli sforzi progettuali delle varie amministrazioni succedutesi nel tempo, in ossequio ad una illusione turistica alimentata spesso da pochi beneficiari.
Già nella prima fase di Ostia moderna, seguita alla bonifica delle paludi malariche, predomina la presenza dell’elemento mare, che si traduce in poco tempo nella vocazione a diventare elegante centro balneare. Nel primo progetto di piano regolatore approvato nel 1916, la “città giardino” risponde essenzialmente alla funzione di luogo di villeggiatura, con villini, strade sinuose e abbondanza di spazi verdi. Risalta subito, nel progetto di Ostia Nuova, l’assenza di una continuità, ideale o territoriale, con l’antico abitato di Ostia, avamposto militare alla foce del Tevere divenuto nei secoli successivi la porta di Roma sul Mediterraneo, crocevia di commerci, genti e culture.
Segue, dopo pochi anni, il cambio di destinazione d’uso voluto dal regime fascista, da “città giardino” a “quartiere di Roma sul Tirreno” con proprie funzioni residenziali, produttive e amministrative. La retorica propagandistica sostituisce le morbide traiettorie della “città giardino”, con un reticolo ad assi paralleli e ortogonali alla costa, funzionali alle nuove esigenze di espansione dell’Urbe verso il mare. Lo sviluppo edilizio pubblico (Ufficio Postale e Palazzo del Governatorato, tra gli altri), infrastrutturale (Via del Mare, ferrovia Roma-Lido e Idroscalo) e industriale di quel periodo fa di Ostia una vetrina per le mire imperialistiche del regime.

Dopo gli eventi bellici, la fase di ricostruzione del litorale si innesta sul boom economico degli anni ’50, che, al di là dell’epopea cinematografica della “dolce vita” in gita domenicale sulle spiagge di Ostia, determina soprattutto ingenti investimenti edilizi, spesso speculativi. A partire dagli anni ‘60, il litorale della capitale sfugge ad ogni tentativo di pianificazione urbanistica, lasciando campo libero ad una crescita incontrollata. Sorgono interi nuovi quartieri e borgate, per lo più in modo disordinato e con una proliferazione di edificazioni abusive, lungo le direttrici di comunicazione con il centro città. La cementificazione di Ostia Ponente, con anonimi edifici di edilizia popolare, fa da sfondo ad un crescente degrado ambientale e sociale.
Con la redazione del “Progetto Litorale ‘83” da parte dell’Ufficio Speciale Tevere e Litorale del Comune di Roma, si assiste al primo tentativo di ripensare in chiave ambientale-naturalistica l’assetto di tutta l’area alla foce del Tevere, per rilanciarne soprattutto la valorizzazione turistica. Il Progetto, dopo una attenta e dettagliata ricognizione delle risorse del territorio, proponeva una serie di modelli di recupero, riqualificazione e sviluppo degli insediamenti esistenti, per i quali la pubblica amministrazione doveva fungere da “regolatrice” delle forze imprenditoriali private.
Per l’edilizia balneare, si notava in particolare: “la vista del mare oggi è completamente impedita dalle squallide strutture fisse in cemento armato che hanno sostituito le frivole strutture in legno degli inizi del secolo”. Veniva inoltre ripresa l’idea di un porto turistico, collocato però all’interno della Fiumara Grande, anche in considerazione del fenomeno dell’erosione costiera, che già allora aveva avuto gravi conseguenze sulle spiagge. Il Porto turistico verrà invece realizzato nel 2000 sul litorale di ponente e soffrirà da subito di problemi di insabbiamento, senza peraltro apportare gli annunciati benefici al quartiere retrostante.
Nel 1988 la Soprintendenza Archeologica di Ostia presenta al Ministero per i Beni Culturali e Ambientali un “Progetto integrato archeologico-ambientale-naturalistico del litorale ostiense” con ipotesi di interventi coordinati delle varie amministrazioni per il recupero e la valorizzazione dell’intera area alla foce del Tevere: Ostia e il suo litorale, il corso del fiume, la fascia naturalistica da Coccia di Morto a Capocotta, coincidente con la presenza, senza soluzione di continuità, delle numerosissime emergenze archeologiche. Quale centro operativo e direzionale viene individuato l’edificio della ex Meccanica Romana, monumento di archeologia industriale degli anni ’20. Esso sarebbe dovuto diventare sede museale, centro permanente di catalogazione e di informazione, luogo di convegni, mostre e manifestazioni culturali. L’apertura della multisala cinematografica nel 1999, accolta con enfasi da più parti come segnale di riscossa economica e d’immagine per Ostia, coincide di fatto con una grande occasione perduta per il territorio.
A partire dagli anni Novanta, le proposte progettuali sostenute dalle amministrazioni capitoline tornano a concentrarsi sulla riqualificazione della fascia costiera e, almeno a parole, sull’accessibilità visiva e fisica al mare. L’architetto Portoghesi presentò due ipotesi (nel 1997 e nel 1999), per la riconfigurazione del Waterfront di Ostia. La più radicale prevedeva la trasformazione del lungomare in isola pedonale, interrando il traffico veicolare, ricreando le dune, la macchia mediterranea e due Isole del Loisir, ampi spazi attrezzati per lo sport e lo shopping. Oltre ad esse si sarebbero realizzati cinque isolotti artificiali sul modello di Dubai, legati da “cordoni ombelicali” alla costa.
Il progetto di Fuksas, annunciato nel 2005 in occasione del convegno “Lido di Ostia al 2015” e presentato nel 2006, prevedeva invece la realizzazione di un’ampia fascia verde a ridosso del mare, contrassegnata da due scenografiche torri-hotel collegate a un nuovo pontile al termine della Cristoforo Colombo. Le proposte delle due archistar, così come quelle dei meno famosi vincitori nel 2004 del concorso internazionale “Contratto di Quartiere Lungomare di Roma”, pur rimanendo nel cassetto, sigillano definitivamente una visione pubblica del litorale colonizzata dalla vocazione balneare.
Sulla medesima scia, seppur in un mutato contesto politico, si colloca il progetto del Secondo Polo Turistico di Roma (2011), il cui scopo è la creazione di un’offerta alternativa e integrativa a quella del patrimonio culturale collocato nel centro storico della città, in grado di attirare nuove tipologie di domanda e flussi internazionali verso gli asset turistici del futuro: i congressi, la nautica, l’entertainment. Il progetto prevedeva a Ostia un Waterfront con aree ricettive e commerciali, il polo della nautica, il distretto dello sport, una nuova passeggiata a mare e l’ampliamento del Porto Turistico. Il rilancio di Ostia come “città dei giovani” con attività sportive, locali per la vita notturna, per lo shopping e il divertimento tutto l’anno è stato riassunto nella ironica, ma significativa, semplificazione giornalistica della “Atlantic City de’ noantri”. In questa euforia ludica ha trovato spazio persino l’ipotesi surreale di una pista da sci.
La valorizzazione e la qualificazione delle aree naturalistiche e archeologiche fanno solo da cornice alla leisure industry, sulla quale è concentrata la maggior parte degli interventi previsti dal Secondo Polo. La Riserva Naturale Statale del Litorale Romano, fortemente voluta dai cittadini e dalle associazioni ambientaliste (in particolare “Italia Nostra”) già a partire dalla fine degli anni ’70 ma istituita solo nel 1996, stenta ad affermarsi come soggetto pubblico di riferimento. Dopo oltre vent’anni, colpa anche dell’assenza di una valida concertazione tra le diverse amministrazioni, il Piano di Gestione della Riserva non trova ancora realizzazione concreta e l’enorme patrimonio verde (ad eccezione dell’area protetta di Macchiagrande di Fregene) è in gran parte lasciato a se stesso, agli incendi e a discutibili operazioni di sfruttamento economico. Il Centro Habitat Mediterraneo, ideato inizialmente per estendersi sino al mare, è rimasto delimitato dalle ingombranti strutture portuali e residenziali che lo circondano.
L’istituzione nel 2016 del Parco Archeologico di Ostia Antica, il cui perimetro è stato esteso da Castelfusano ai Porti Imperiali di Fiumicino, anche grazie alla mobilitazione popolare attivata dal Comitato Promotore per un Sistema Archeologico Integrato tra Fiumicino e Ostia (SAIFO), potrebbe rappresentare una occasione unica per ricomporre in modo leggibile e fruibile l’insieme dei siti archeologici alla foce del Tevere. Va detto che l’impegno sinora profuso per rendere il Parco Archeologico luogo di dialogo e confronto tra le istituzioni e la cittadinanza, può costituire terreno fertile per quella rinascita civile e culturale della quale il territorio ha estremo bisogno.
Ad orizzonti sicuramente più ampi del Waterfront guarda l’ambiziosa proposta della “città anulare costiera” di Bonvino, ripensata attorno alle nuove agorà dei quartieri, al sistema dei parchi e delle acque, il tutto unito da una rete di mobilità basata sul “ferro”: un “disegno urbano capace di creare qualità e ricchezza per la città”. La profondità di campo della visione evidenzia ancora di più l’assenza di una governance del territorio efficace e partecipata.
Va sottolineato, infine, che anche in ambito universitario si sono moltiplicati gli studi e le ipotesi di intervento sull’area alla foce del Tevere. Uno dei progetti più importanti è quello della cosiddetta “Coda della Cometa”, nome ripreso da un’immagine proposta a metà degli anni ’30, dove Roma assume la forma di una cometa con una lunga coda proiettata verso il mare e attestata su Ostia e su Fiumicino. Un progetto multidisciplinare che raccoglie diversi gruppi di ricerca impegnati in sperimentazioni progettuali tese a ri-costruire e a ri-naturalizzare più che a edificare e urbanizzare, integrando la riorganizzazione del sistema infrastrutturale, la salvaguardia del contesto ambientale e naturalistico del Tevere e le nuove prospettive dell’agricoltura urbana.
A fronte di una tale abbondanza e varietà di proposte e stimoli, continua a mancare una progettualità pubblica che finalmente tenga conto del passato e del futuro di Ostia, superi una cronica mancanza di immaginazione ed elabori una visione complessiva della città e dell’area del delta tiberino. Una visione che punti a ricucire nei percorsi storici, naturalistici e culturali le sue aree frammentate e sconnesse, a ricostruire una trama di beni collettivi e valori di comunità e a dotarsi delle adeguate infrastrutture di mobilità, efficienti e sostenibili.
Nell’attesa che ciò avvenga, i cittadini intanto non rimangono a guardare. Per esempio, tra le proposte per il PUMS (gennaio 2018) spicca quella che riprende l’idea del collegamento del Decumano massimo di Ostia Antica con l’asse urbano di Via delle Baleniere, tramite un percorso pedonale e ciclabile e un nuovo accesso agli scavi di Ostia Antica, per ricreare un “rapporto tra città e gli scavi di tipo nuovo, intimo e spettacolare”.
Nel convegno “Dal Fiume al Mare: ripensare il litorale romano secondo natura” (12 ottobre 2019, Casa del Mare, Ostia) hanno colpito il pubblico le immagini “utopiche” di un lungomare finalmente riaperto alla visibilità e di spiagge restituite alle dune, preziose difese naturali contro il fenomeno dell’erosione, fortemente aggravato dai cambiamenti climatici in atto e dalla cementificazione degli arenili.
Questi ed altri segnali “dal basso”, seppur dispersi nell’assordante, e spesso ingannevole, battage della vocazione turistica, fanno sperare che un vero progetto per la città, capace di coniugare insieme memoria e ritrovata bellezza, possa ancora realizzarsi.
Bibliografia
- “Progetto Litorale ‘83”, Ufficio Speciale Tevere e Litorale, Comune di Roma, Edizioni Quasar,1984
- “Il Parco archeologico-naturalistico del Porto di Traiano”, a cura di Vanni Mannucci, Gangemi Editore, 1996
- “L’architettura a Ostia”, Umberto Calabrese, Fratelli Palombi Editori, 1999
- “Roma e il mare nel Novecento: identità, funzioni e trasformazioni del litorale ostiense e del suo entroterra”, Micaela Antonucci, Città & Storia, Anno VII, n. 2, luglio-dicembre 2012
- “Una Capitale sul Mare”, Gualtiero Bonvino, Francesco D’Ausilio, Palombi Editori, 2013
- “Roma verso il mare. Lo sviluppo del litorale ostiense in età contemporanea”, Micaela Antonucci, Rome, Le Tibre, le Littoral, 2013 (https://romatevere.hypotheses.org/416)
- “La nostra storia, il nostro futuro – Primo rapporto per un Sistema Archeologico Integrato tra Ostia e Fiumicino”, Comitato Promotore SAIFO, 2014 (https://comitatopromotoresaifo.it/)
- “Portus, Ostia Antica, Via Severiana. Il sistema archeologico-paesaggistico della linea di costa di Roma imperiale”, a cura di Andrea Bruschi, Quodlibet, DIAP-PRINT Progetti, 2015
- “Centenario Roma Marittima. Cento anni di architettura”, Atti del Convegno, Roma, Sala Riario Episcopio di Ostia Antica, 27 novembre 2015, a cura di M. Atzeni, F. Marchetti, AIAC, Roma 2016
Sitografia
- Parco Archeologico di Ostia Antica, Progetto culturale 2018-2020
- https://www.ostiaantica.beniculturali.it/it/parco/progetto-culturale/
- http://www.codadellacometa.it/
- http://www.liberi.tv/webtv/2019/10/16/video/danilo-ruggiero-convegno-dal-fiume-al-mare-ripensare-litorale
(*) Laurea in Fisica, Università “La Sapienza” di Roma
Autore del saggio “Non sarà l’economia a salvarci”, Edizioni Dissensi, ottobre 2017
Curatore del Libro Bianco dell’Associazione Mare Libero “Il Mare Negato di Roma”, CESV, agosto 2018