EVENTI ED AZIENDE AD OSTIA LIDO, OSTIA ANTICA, ACILIA, FIUMICINO

di Daniela Silvia Pace,
R
icercatore del Dipartimento di Biologia Ambientale dell’Università di Roma La Sapienza

Luglio 1995: il Giornale di Ostia (Figura 1) pubblica due articoli che parlano di un progetto sui cetacei del litorale romano e del Lazio, della necessità di studiarli, delle opportunità di un turismo sostenibile basato sulla loro osservazione in ambiente naturale. In quel periodo, e per un lungo lasso di tempo, era quasi del tutto sconosciuta la regolare frequentazione delle acque della Regione da parte di queste specie, e parlare di delfini a Ostia e Fiumicino sembrava solo un affascinante argomento biologico che poco aveva a che fare con il mare un po’ torbido e inquinato che avevamo quotidianamente davanti ai nostri occhi.

Oggi, a distanza di 25 anni, la presenza di delfini e balene lungo il litorale romano è un fatto abbastanza noto, che continua a consolidarsi nel tempo man mano che si accumulano le conoscenze e a suscitare grande interesse in tutti gli amanti del mare. Ed è stato proprio per fornire un quadro effettivo della situazione nei mari laziali basato su evidenze scientifiche che il Dipartimento di Biologia Ambientale dell’Università di Roma La Sapienza, in collaborazione con ISPRA, Università della Tuscia e CIBRA-Università di Pavia, ha realizzato uno studio utilizzando in maniera integrata fonti di dati visivi e acustici provenienti da protocolli di ricerca convenzionali, eventi di spiaggiamento e informazioni condivise sui social media da parte dei cittadini (Pace et al., 2019).

Nell’arco di 10 anni, dal 2008 al 2017, abbiamo documentato quasi 1.300 avvistamenti di balene e delfini, di cui oltre la metà dovuti a segnalazioni postate sui social media (video rainews). Sette delle otto specie di cetacei che risiedono regolarmente nel Mediterraneo sono state segnalate nel mare della Regione Lazio, anche se con notevoli differenze nella loro frequenza. Abbiamo utilizzato questi dati per costruire modelli di previsione delle aree e degli habitat più idonei alle diverse specie, permettendo così di identificare le zone più importanti dove agire per la loro conservazione.

È necessario però fare un piccolo passo indietro per capire da dove è iniziato tutto questo. Dal 1995 in poi avevo raccolto molte testimonianze e racconti da parte dei pescatori locali, che descrivevano osservazioni e interazioni con i cetacei durante le loro attività in mare. Grazie a queste chiacchierate con i pescatori di Ostia e Fiumicino nel 2007-2008 abbiamo iniziato a studiare i delfini costieri del litorale romano, scoprendo una presenza costante nel tempo del tursiope (Tursiops truncatus) che in queste acque sembra trovare condizioni favorevoli per l’alimentazione e la riproduzione.

Il tursiope (Figura 2) è un mammifero marino appartenente all’ordine dei cetacei, che può raggiungere 3.5-4 m di lunghezza, pesare oltre 400 kg, e vivere fino a 30-40 anni. Raggiunge la maturità sessuale a circa 9 anni nelle femmine, nei maschi a circa 12. La gestazione dura 12 mesi e alla nascita il piccolo misura circa 90-110 cm. Sul corpo del neonato sono visibili caratteristiche “pieghe fetali” (Figura 3), che scompaiono naturalmente con la crescita dopo 1-3 mesi. L’allattamento si protrae per 12-18 mesi, anche se lo svezzamento può iniziare intorno al sesto mese di vita.

Figura 2. Il tursiope (Tursiops truncatus)

Il tursiope è sicuramente il delfino più noto, distribuito in tutti gli oceani e mari tropicali e temperati del mondo. Nelle nostre acque si osserva facilmente in prossimità delle coste in gruppi di 2-20 esemplari, allontanandosi raramente dalla piattaforma continentale; tuttavia, è possibile incontrarlo con minore frequenza anche in ambienti più pelagici, dove si sposta principalmente per ragioni alimentari. Si nutre prevalentemente di pesce (naselli, cefali, sugarelli, fragolini, sgombri, etc), ma preda anche cefalopodi e crostacei, essendo una specie flessibile, in grado di adattarsi opportunisticamente alle condizioni trofiche locali.

Figura 3. Pieghe fetali di un piccolo di tursiope

La distribuzione geografica costiera e la grande plasticità comportamentale lo espongono a pressioni derivanti dalle attività umane. Qui nelle acque del litorale romano lo abbiamo osservato frequentemente in prossimità di attrezzi da pesca ricreativa (lenze) e professionale (reti a strascico e reti da posta) (Figura 4), e non è raro imbattersi in individui che recano i segni di una interazione negativa (ferite e/o mutilazioni) con le attività di pesca o altre attività umane (Figura 5).

Anche l’intenso traffico di imbarcazioni in quest’area determina una minaccia per questi animali, che rischiano di essere infastiditi durante attività critiche come la riproduzione o l’alimentazione, collisi, o disturbati acusticamente dal rumore. Non meno impattante è l’apporto di elementi nocivi da parte del fiume Tevere, che veicola in mare sostanze inquinanti sotto forma di scarichi e rifiuti di ogni genere.

Figura 5. Mutilazioni a livello della pinna caudale (a destra) e della pinna dorsale (a sinistra) possibilmente dovute a interazioni con la pesca o altre attività umane

Lo studio sistematico su base annuale che stiamo conducendo in quest’area, sempre in collaborazione con ISPRA, Università della Tuscia e CIBRA-Università di Pavia, ci ha permesso di effettuare, nel periodo settembre 2017-agosto 2019, numerosi avvistamenti di cetacei, di cui il 76% di tursiope. Le nostre ricerche sono focalizzate sull’ecologia comportamentale di questa specie, sulla sua presenza in relazione a parametri ambientali e geomorfologici, sulla struttura sociale degli individui più stanziali, sull’impatto che provoca la sovrapposizione di diverse attività e minacce di origine antropica, e sull’utilizzo di differenti tipologie di suoni in relazione al contesto in cui vengono emessi (il tursiope infatti produce suoni di varia natura e in diversi “arrangiamenti”, che utilizza sia per mantenere i contatti sociali, sia per esprimere uno stato comportamentale, ma anche per scandagliare il fondale e la colonna d’acqua per evitare un ostacolo o per localizzare una preda).

A che servono questi studi? A produrre conoscenza. La ricerca genera conoscenza, la conoscenza favorisce la comprensione dei fenomeni, la comprensione dei fenomeni aumenta la consapevolezza, la consapevolezza aiuta la definizione di strategie di conservazione, le strategie di conservazione identificano le azioni di tutela. A beneficio non solo dei cetacei, ma di tutti noi.

Bibliografia

Pace, DS, Giacomini, G, Campana, I, et al. (2019) An integrated approach for cetacean knowledge and conservation in the central Mediterranean Sea using research and social media data sources. Aquatic Conserv: Mar Freshw Ecosyst 29: 1302– 1323. https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/aqc.3117

Foto di copertina di Daniela Taliana

 

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